La Sagra del Mandorlo fiorito nacque, promossa dal locale dopolavoro, come una forma di svago, per iniziativa di menti poetiche e fantasiose, a Naro ed ivi celebrata per la prima volta il 27 febbraio 1938, con il naturale e suggestivo scenario della Valle del Paradiso, candida di mandorli fioriti. (cfr. Giornale di Sicilia-3 Marzo 1938-Anno XVI del F.).
Da principio fu veramente una festa legata all'ambiente, cioè una Sagra che riecheggiava il mito di Proserpina, con il ricordo dei tempi pagani, quando si celebravano la vita, la morte e l'avvicendarsi delle stagioni.
Sfilavano così per le vie di Naro carretti ricolmi di fiori e belle donne in ricchi costumi, ballerini e suonatori di magarruna, di zufoli e di quartareddi, non solo di Naro, ma pure d'Aragona, Canicattì, Sciacca e di altri comuni della Provincia, con l'animazione, canora e strumentale, del poliedrico Sandro Giuliana Alaimo, appassionato cultore della Fulgentissima e dell'avv. Gero Rindone, (tenore lirico, poeta e compositore), della Sig.na Ida Tuttolomondo, insegnante dell'Istituto Immacolata Concezione, di Suor Gabriella Naselli, Superiora dell'Istituto, della nobile famiglia Naselli, principi d'Aragona (10-12-1879/31-10-1969), del Dott. Ignazio Burgio, delle sorelle Montalto (Assuntina, Rina ed Iole) e della Sig.ra Ornella Comparato in Contino, con l'intervento musicale della banda cittadina, diretta dal Maestro Angelo Zagra e del premiato quartetto a plettro, composto da Curto Rosario (mandolino), Rinaldi Angelo (Benjo), Marrix Giuseppe (violino) e Bonadonna Salvatore (chitarra), con la direzione del Maestro Ettore Zambuto, direttore tecnico provinciale dell'O.N.D. di Agrigento e tanti altri, come mostrano le foto ingiallite dell'epoca ed i ritagli dei giornali, che scrissero dell'evento.
Della singolare manifestazione l'Istituto Luce girò un breve documentario, anche su interessamento del nostro benemerito concittadino Dott. Alfonso Gaetani, conte d'Oriseo, allora Federale di Agrigento del Partito Nazionale Fascista.
Chi avrebbe immaginato che la Manifestazione del Mandorlo fiorito avrebbe cambiato dopo il trasferimento ad Agrigento (foto 74/75), per volontà politica o per fattori logistici, con il passare degli anni il proprio aspetto di Sagra, cioè di Festa paesana, assurgendo a festa provinciale, che ha dato alla Manifestazione un'impronta prima nazionale e poi internazionale.
Finirono i carri, cambiò lo spirito delle festa agricola.
La Sagra divenne una sfilata di folklore internazionale, perché si invitarono altre compagini d'oltre Alpe, dell'Europa e del mondo per glorificare la Primavera.
Della Sagra nata a Naro, rimane solo la ferace Valle del Paradiso, coperta da bianchi fiori di mandorli, mentre per il resto è diventata il simbolo della pace, dell'amicizia tra i popoli.
Da diversi anni Naro, per ricordare e continuare la tradizione della 1ª Sagra celebra la fioritura del Mandorlo con il nome di PRIMAVERA NARESE, grazie al costante interessamento degli Amministratori locali, degli operatori comunali ed all'attiva presenza del gruppo Val Paradiso, Città di Naro ed, ultimamente, del gruppo Fulgentissima, qualificati interpreti del folklore della Fulgentissima Naro.
La manifestazione da un lato ripropone la Sagra paesana, caratteristica della passata tradizione, con l'esibizione di gruppi locali nei loro costumi tradizionali, dall'altra l'inserimento di elementi nuovi, quali la partecipazione di gruppi popolari stranieri, che danno un'impronta cosmopolita e meno raccolta .
Alla caratteristica ed interessante manifestazione partecipano, pertanto, numerosi gruppi popolari stranieri, oltre a diversi gruppi locali nei costumi tradizionali, con carri e carretti riccamente addobbati in ricordo di un folklore che scompare.
Una simpatica e significativa tradizione della Sagra di Naro è l'elezione di Miss Primavera Narese, con l'assegnazione del trofeo AUREA FENICE, alla più bella ragazza partecipante alla manifestazione, per rivivere, in questo modo, il mito di Proserpina, simbolo della Primavera.
a) Al Conte Gaetani si deve il riassesto della piazza Garibaldi, della via Archeologica e della via Dante, che venne lastricata con pietra lavica. Nel 1938 curò il restauro della chiesa di Santa Caterina e nel 1970 si interessò del finanziamento per il restauro della chiesa del SS. Salvatore.
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I riti pasquali che vanno sotto il nome di Settimana Santa, vengono celebrati a Naro con una rappresentazione drammatica - religiosa molto commovente e particolarmente sentita.
Tale rappresentazione ha origini molto antiche e si rifà al Mortorio, opera drammatico - religiosa, ideata e rappresentata la prima volta l'11.03.1807 nel convento del Carmelo, ad opera del dott. Calogero Marchese con il titolo di Mortorio di Cristo, con molti personaggi, come attesta Fra Saverio.
In verità, una sacra rappresentazione di scene del nuovo ed antico testamento era già avvenuta nel 1759 per opera del dott. Paolo Castelli, insigne medico ed esperto archeologo (1726-1800) ed, ancora, con larga partecipazione di personaggi, la Domenica delle Palme nell'anno 1774.
Le caratteristiche rappresentazioni venivano riprese e portate in scena con successo negli anni 30' dai giovani della Piccola Filodrammatica Narese, nell'ex Teatro Comunale (costruito nel 1866 ed eliminato negli anni del dopoguerra), sito nei locali a piano terra del Palazzo Comunale, oggi sede della Biblioteca "Feliciana" ed in tanti paesi dell'Agrigentino.
Ancora oggi si ricordano i bravissimi attori che si sono esibiti negli anni 30': Pietro Gueli Alletti, Giuseppe Amico, Calogero Porcello, Giuseppe Camilleri, Gaetano Viccica, Calogero Viccica, Salvatore Morgana e Vincenzo Patronaggio (foto 76).
Ed ora questa felice tradizione rivive e continua, per interessamento degli attori dell'Associazione Culturale Calogero Gueli Alletti e del Teatro Popolare Città di Naro, con il Patrocinio dell'Amministrazione Comunale (foto 77 e 79).
Portano, infatti, in scene itineranti, con particolare grandiosità, le sacre rappresentazioni dei riti della Settimana Santa, con inizio la Domenica delle Palme per, poi, continuare tutta la settimana fino al Venerdì con la Via Crucis ed a scinnenza cruci, per concludersi, la Domenica di Pasqua, con A risuscita, quando si celebra A sguondru dei simulacri della Madonna e del Cristo risorto, tra due ali di folla plaudente ed in festa.
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Il 18 giugno di ogni anno, devozione e folklore danno vita ai tradizionali festeggiamenti in onore di San Calogero, il Santo Nero, il cui culto attrae a Naro migliaia di devoti, spinti da una fede sincera.
Molto intricata è la questione dei Calogeri in Sicilia, alcuni la fanno risalire all'epoca bizantina (tra i secoli VII e VIII d.C.).
Calogero, infatti, in greco vuol dire bel vecchio. Il nostro Santo è stato uno di quei vecchi venerandi che, per sfuggire alle persecuzioni degli ariani bizantini dalle terre dell'impero d'oriente, si trasferirono in Sicilia, dove vissero una grama vita eremitica, venerati dalle popolazioni cristiane.
Ed essi, poiché, venuti dall'oriente, nella fantasia popolare, più tardi furono raffigurati con la faccia nera, anche perché la loro festa si celebrava nei mesi più caldi dell'anno. Secondo Daniel Papebrook (1743) e gli inni di Sergio di Fragalà, monaco vissuto nel IX secolo, il Santo di Naro sarebbe nato a Cartagine e sia approdato in Sicilia, insieme a Gregorio e Demetrio, per sfuggire alle persecuzioni dei Vandali d'Africa (sec.V-VI). Secondo altre fonti, il Santo Nero nacque a Costantinopoli.
Grande è il campanilismo tra varie città siciliane, che rivendicano il culto del Santo. Ma i devoti considerano il culto principale quello della città di Naro, dove ogni anno converge una fiumana di gente.
A conferma di ciò dice un ritornello popolare: "San Calò di Naro miraculi nni fa un migliaru, San Caloiru di Girgenti miraculi u nni fa nenti, San Caloiru di Canicattì nni fici unu e si nni pintì".
Ma pochi hanno una concorrenza di popolo uguale a quella di Naro, ove vi si reca da molti comuni dell'isola ed anche da fuori, per sciogliere il voto emesso in un particolare momento fortunoso.
Molti fedeli promettono come voto il pellegrinaggio ovvero U viaggiu a San Calò, che consiste nel salire a piedi scalzi (a'ppedi) la ripida altura, su cui è posta la città, attraverso la vecchia trazzera reggia, che si snoda fino alla Porta Vecchia, l'antico ghetto ebreo di Naro.
Il culto di San Calogero, che per la sua provenienza orientale pare che si chiamasse Aunone Narico, è databile dalla peste bubbonica che dal 1624 al 1626 imperversò in Sicilia e che cessò a Naro, come dice la tradizione, per un prodigio, dopo aver fatto migliaia di vittime e cioè per la visione avuta da Suor Serafina Maria Pulcella, terziaria francescana, della nobile famiglia dei Lucchesi Palli, marchesi della Damsa.
Fu nel 1624, infatti, che Suor Serafina ebbe la visione del Santo, il quale le diceva che, per sua intercessione, avrebbe avuto fine il terribile morbo.
Il popolo di Naro, a tale rivelazione, condusse per le vie della città il simulacro del Santo e così la pestilenza ebbe termine.
E, da quell'anno, la città di Naro scelse per suo Patrono e protettore San Calogero, assurto così al colmo della venerazione, dimenticando ben presto la sua antica Patrona, Santa Caterina d'Alessandria.
Si dice anche che nel 1693 Naro, sempre per intercessione del Santo, fu preservata dal terribile terremoto dell'11 Gennaio, evento che viene ricordato ogni anno dalla processione che i paesani chiamano San Caloiru picciulu. La festa che cade a data fissa, il 18 giugno, giorno in cui, si dice, di un anno imprecisato del secolo VII, sia morto sul monte Kronio, mentre altri affermano che sia morto nel 561, all'età di 95 anni, è una festa ciclica, diversamente dalle altre del nostro ricco e vario folklore di Sicilia e dura esattamente 2 mesi (18 giugno Naro - 18 Agosto Racalmuto), quanti ne occorrono a compiere i lavori agricoli nei campi: mietitura, trebbiatura ed ammasso delle paglie per il foraggio invernale degli animali ed è, altresì, una festa delle messi che si manifesta con il pane lavorato in varia maniera, onde rappresentare le diverse membra del corpo miracolato, lavorato da esperti, che producono una eccellente perizia nel forgiare con la pasta indurita le varie parti del corpo, curandone anche i particolari (a).
Questo pane offerto come voto dai fedeli, benedetto dai preti del santuario, viene distribuito a tutti i fedeli che ne facciano richiesta.
Alle ore 10:00 del 18 giugno la statua del Santo, opera dello scultore Francesco Frazzetta, di Militello (1566), ma per la prematura morte dell'artista, completata nel capo dalla figlia, egregia allieva dell'illustre genitore, viene esposta in adorazione dei fedeli davanti al Santuario. Alle ore 11:00 inizia la singolare processione (foto 80).
Il maestoso simulacro del Santo, nero come il carbone, con la lunga barba fluente pure nera, con la sinistra porta il bastone, con la destra sorregge la cassetta delle medicine, simbolo delle guarigioni che elargiva ed in atto di benedire tutta quella folla immensa di gente variopinta, che si pigia, suda sotto il sole rovente di giugno, stanca, trafelata per portare il proprio voto, sul petto sotto la raggiera vi è scolpito la scritta In nomine Jesus, con la quale parola soleva iniziare la sua azione taumaturgica, avvolto da un mantello finemente arabescato, sul capo è posta una piccola aureola, viene posto sulla vara dei miracoli, a forma di grande Straula, sotto un baldacchino rosso, che al grido di Viva Diu e San Calò,suscitando intensa emozione nelle migliaia di fedeli accorsi, come sempre, a manifestargli profonda devozione e gratitudine, si muove tirato con funi, alle quali si attaccano centinaia di fedeli di ogni ceto sociale, d'ambo i sessi e di tutte le età, giunti da ogni parte in pellegrinaggio.
Basta osservare la gente in processione, per avvertire il profondo senso di appartenenza che la lega a questo Santo venuto dall'Africa.
Un sentimento dalle radici profonde, rafforzatosi nel corso dei secoli per la costante azione amorevole nei riguardi della città, più volte minacciata da eventi catastrofici, da cui è uscita indenne (b).
Lungo la strada la gente si affanna a strofinare i fazzoletti sul Simulacro, perché è credenza che il Santo,dotato di poteri taumaturgici contro le malattie del corpo e quelle dell'anima, da cui scacciava i demoni, sudi e, quindi, i fedeli vogliono portare a casa un talismano.
Si arriva, infine, alla Matrice Nuova, dentro la quale il Simulacro viene portato, tolto dalla straula, con una vara, per la celebrazione della messa di ringraziamento per i forestieri (poiché si dice che il 18 giugno è il giorno della festa dei forestieri).
Ma la festa del 18 giugno non è solo una briosa solennità di un giorno festivo, è il più grandioso pellegrinaggio che abbia luogo nella zona.
Ed è, nel contempo, un'occasione di svago non solo per i naresi, ma anche per i forestieri, che dopo aver assolto al loro dovere di fedeli, si intrattengono a visitare la grande fiera-mercato per l'occasione allestita ed ad acquistare oggetti di devozione, in cui è raffigurato il Santo.
Le manifestazioni culturali, musicali e sportive, che costituiscono il ricco programma in onore del Santo non si esauriscono il 18 giugno, ma continuano fino al 25 (chiamata l'ottava), giorno in cui avviene la seconda processione del Patrono per le vie cittadine, che si conclude con una messa solenne davanti al Santuario. L'evento più atteso delle manifestazioni è lo spettacolo di musica leggera, in programma la sera in piazza Garibaldi, con la partecipazione di noti cantanti, che richiamano ogni anno un vasto pubblico attento e caloroso, proveniente anche dai paesi viciniori.
a) Sicilia Serafica, rivista dei Frati Minori.
b) Idem
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I cittadini di Naro sono molto legati a questa ricorrenza, che si celebra il 26-27 Settembre. La festa risale agli inizi del 700', al tempo di P. Prospero Favara,guardiano del convento di Sant'Agostino.
Era caratterizzata da una solenne processione dei simulacri dei due Santi gemelli, Cosma e Damiano, protettori dei barbieri, perché questi anticamente esercitavano anche l'arte medica, che partiva dalla chiesa di Sant'Agostino e da una importantissima fiera di animali ed attrezzi agricoli.
Secondo la testimonianza di Vito Amico, la fiera dei S.S. Cosma e Damiano, quella di San Iacopo (1622), che si teneva nel piano dei Gesuiti (nella piazzetta antistante la Chiesa Madre) e quella di San Calogero (dispaccio del tribunale del Real Patrimonio nell'anno 1585), erano tra le fiere più importanti ed antiche dell'Isola.
Da qualche anno l'Amministrazione Comunale si adopera per recuperare questa antica tradizione.
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È una delle festività più sentite dai cittadini di Naro.Viene celebrata ogni anno l'8 dicembre con una solenne processione, con grande partecipazione di popolo, attraverso le principali vie urbane.
Viene portato in processione, infatti, il prezioso simulacro d'argento dell'Immacolata, lavorato, per incarico di P. Melchiorre Milazzo, allora guardiano del convento dei Frati Minori Conventuali di Naro, da Carlo Troisi e dal figlio Paolo, nativi dell'Isola di Malta, nella città della La Valletta, nel 1715.
La statua, alta mt. 2,10, pesante kg.240 circa, in origine aveva la testa e le mani in oro, ma dopo il furto avvenuto negli anni 70 furono rifatti con materiale meno pregiato. La sua struttura interna è composta da lastre di ferro, ricoperte esternamente da circa 100 lamine d'argento, tenuti insieme da chiodini anch'essi in argento.
Si dice che l'argento occorrente è stato ricavato dalla fusione di 12 grandi candelabri d'argento, alti mt. 1,40 ciascuno esistenti nella chiesa di San Francesco.
È antichissima tradizione, durante il periodo della sua novena, fare un pane tipico, chiamato muffuletta e mangiarlo per devozione all'Immacolata.
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La magia del Natale, da qualche anno, viene vissuta a Naro con particolare fervore, con l'allestimento anche di siti caratteristici, che rendono più suggestiva l'atmosfera della notte Santa.
Viene allestito, infatti, con cura e dovizia, un singolare presepe dentro le gallerie ed all'esterno di una cava abbandonata (foto 82), esistente in località San Gaetano, alla fine della via Rotabile Agrigento ad ovest dell'abitato, ad opera di un gruppo di giovani gli amici del Presepe.
Il sito, meta anche di numerose scolaresche, non è solo una creazione artistica, ma anche un evento culturale e sociale.
Tradizioni e costumi di casa nostra messi insieme in una grande festa, che ogni anno richiamano visitatori e forestieri, anche da fuori provincia.
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O ponti
È un giuoco prettamente maschile. Veniva fatto da ragazzi di età compresa tra i nove ed i tredici anni.
Il numero dei partecipanti variava di volta in volta.Il giuoco si svolgeva così:
Uno dei partecipanti faceva da "mastro o capo-giuoco" e si sedeva. Gli altri dopo la conta si dividevano in "cavalli" e "cavalieri". Il primo, dei cavalli, poggiava la testa sulle ginocchia del capo-giuoco, il secondo sul dorso del primo e così, di seguito, fino a fare un ponte umano.
Quindi i cavalieri, che dovevano andare sopra, saltavano e si disponevano: il primo, più agile, addosso al primo cavallo, il secondo dietro a lui con un altro salto e, così, il terzo ed il quarto e via di seguito.
Il mastro doveva accertarsi che i cavalieri saltando non toccassero terra con la punta del piede, altrimenti commettevano "fallo" ed i cavalieri, come "pena", si mutavano in cavalli.
Quando cavalli e cavalieri erano al loro posto, stavano fermi, senza muoversi, fino a quando il maestro diceva di "disfare" il ponte e si ricominciava e così di seguito.
tutte le pietre da terra, senza far cadere né la pietra che precedentemente era stata lanciata in aria né quelle che aveva già prelevato da terra.
A pitrudda
È un giuoco, anche questo maschile, i cui partecipanti potevano essere due, quattro o, al massimo, sei ragazzi, di età compresa tra i dieci e i quattordici anni.
Il giuoco procedeva così: si posavano le monete, tutte dello stesso valore, una per ogni partecipante, una sopra l'altra e dalla parte dello stesso verso, in terra. Quindi uno dei ragazzi, cui nel fare la conta sia toccato, si inginocchiava e vi lasciava cadere sopra, dall'altezza del suo petto o anche più vicino, un sassolino.
Se, nel colpire, egli faceva buon giuoco, vinceva le monete capovolte, se no, lasciava la mano al compagno e così di seguito.
E quattru cantuneri
Questo giuoco veniva fatto sia dalle bambine che dai ragazzi, in numero di cinque e di età compresa tra gli otto e i tredici anni.
Preferibilmente si praticava all'aria aperta, in estate, in questo modo: I partecipanti si contano e chi restava per ultimo, si piantava in mezzo, gli altri quattro si mettevano ciascuno ad uno spigolo di muro e di corsa si cambiavano l'un l'altro il posto. Chi stava nel mezzo correva ad occupare uno dei quattro angoli rimasti, momentaneamente, liberi. Se quello vi riusciva, l'altro, rimasto privo del posto, andava, a sua volta, nel mezzo e, così, il giuoco proseguiva.
A petra piglia
I ragazzi, di numero variabile e seduti per terra, mettevano sul suolo delle piccole pietre (mai meno di 10), quindi se ne buttava una in aria e, nello stesso tempo e con la stessa mano, si prelevava una pietra da quelle depositate in terra, quindi si recuperava, come un giocoliere, la pietra che intanto ricadeva. E così di seguito, fin quando il giocatore non riusciva a prendere tutte le pietre da terra, in uno o più lanci. Vinceva chi riusciva a recuperare tutte le pietre da terra, senza far cadere né la pietra che precedentemente era stata lanciata in aria né quelle che aveva già prelevato da terra.
A tavula longa
Veniva svolto da un gruppo di ragazzi (non meno di dieci). Si mettevano abbassati, un ragazzo dietro l'altro ed un pò distanti l'un l'altro. Il decimo ragazzo doveva saltare , uno per volta, al di sopra di quelli che stavano chinati. Se, durante il salto, uno dei ragazzi chinati veniva toccato, allora quello che, saltando, l'aveva toccato prendeva il suo posto e pagava anche una penitenza. Vinceva chi riusciva a saltare tutti i ragazzi che stavano chinati.
E così, di seguito, veniva a giocare chi aveva saltato senza penitenza e l'ultimo della fila.
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Ogni anno l'Amministrazione Comunale, con il progetto Estate in città, propone, tra la metà di Luglio e la fine di Agosto, un ricco e vasto calendario di intrattenimenti culturali e ricreativi, per allietare le ferie degli emigrati, che tornano a Naro in vacanza, di chi resta in città e dei sempre più numerosi visitatori, richiamati anche dalle bellezze architettoniche e paesaggistiche di Naro.
Il programma, ogni anno sempre più vario, comprende una interessante rassegna di teatro dialettale, spettacoli musicali e di cabaret, discoteca all'aperto e varie manifestazioni sportive.
Ma il protagonista assoluto è sicuramente il teatro, dialettale e non, recitato nel suggestivo scenario della scalinata del Vecchio Duomo, meglio conosciuta come A scalunata (a).Il teatro è sempre stato protagonista indiscusso della vita culturale di Naro. Fin dal 1759 per opera del Dott. Paolo Castelli, insigne uomo di cultura, vengono rappresentate, con larga partecipazione di personaggi, scene del vecchio e nuovo testamento.
Nel 1807 ad opera del Dott. Calogero Marchese viene rappresentato lo spettacolo sacro il Mortorio di Cristo, come attesta Fra Saverio cappuccino. Il filone delle rappresentazioni sacre viene ripreso e rappresentato, con vivo successo, negli anni 30' dai Giovani della piccola filodrammatica narese, sia nel teatro comunale (b), sito nei locali a piano terra del Palazzo Comunale (oggi sede della Biblioteca Feliciana) che in tourné in vari paesi del circondario. Figura di spicco, poeta ed animatore della compagnia narese è stato Pietro Gueli Alletti (+21.03.1983), grande caricaturista della commedia dialettale. Di lui ci resta una raccolta di poesia in vernacolo Agru e Dungi. Altra figura di rilievo, nel campo del teatro dialettale narese, è stato Calogero Gueli Alletti (+20.07.1995),u zi Liddu per gli amici, allievo e nipote prediletto dello zio Pietro, che gli effuse la passione per il teatro. Fin dalla tenera età fu attratto dal teatro, tant'è che già a undici anni calcava le scene nell'opera Figli di Nessuno di Angelo Musco. Creò negli anni 70 la compagnia del "Teatro popolare", con cui portò in scena molte commedie dialettali e la sacra rappresentazione del Mortorio, in vari paesi della Sicilia. In seguito, negli anni 80, fondò il Teatro Dialettale di Naro, iniziando l'attività di regista.
Ora questa felice tradizione teatrale rivive e continua nell'Associazione culturale Calogero Gueli Alletti e nel Teatro Popolare Città di Naro, che opera nella nostra cittadina fin dal 1972 per iniziativa dei soci della filodrammatica Piccolo Teatro dei Giovani. Fu in occasione delle rappresentazioni della Settimana Santa del 1973, che la compagnia si istituì realizzando la tradizionale Via Crucis in personaggi. Le due compagnie portano ogni anno in scena varie commedie in dialetto, nella splendida cavea antistante l'antico Duomo Normanno, che in occasione dell'Estate Narese, si trasforma in un suggestivo teatro naturale all'aperto, ospitando per l'occasione altre compagnie teatrali anche nazionali, per la gioia di appassionati e di visitatori.
a) Naturale cavea di n. 156 scalini realizzata nel 700.
b) In tanti anni di attività il teatro comunale ospitò varie compagnie di prosa, fra cui quella di Rizzotto, Quintavalle ed Almirante ed il grande attore Flavio Andò, che in cartellone avevano Giulietta e Romeo, Amleto, il Padrone delle ferriere. Altre compagnie portarono sulle scene commedie come il Marchese del Grillo, Fra Diavolo, Capitan Fracassa.Cfr.S.Pitruzzella-Don Diego Calafato,op.cit.p.61.
Fonte sito Comune di Naro
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